La Musica è un enorme contenitore di meraviglie.
Che cosa può significare concretamente godersi pienamente la Musica al pianoforte?
Relativamente pochi giganti della Musica hanno realizzato le loro inarrivabili composizioni che possiamo agevolmente individuare nelle partiture reperibili in commercio, e questa è una strada possibile, ma quanti di noi possono dire onestamente a sé stessi di essere riusciti a realizzare un’esecuzione congrua dei capolavori in oggetto?
Questo privilegio è riservato a pochi eletti, comunque sacrificati in un’esistenza monastica dedicata esclusivamente, salvo rarissimi e fortunati casi, allo studio rigoroso dello strumento.
Tale dedizione spesso coincide, per la sua stessa natura di esclusività, con una deprecabile condizione esistenziale, foriera di sociopatia manifesta e palese disadattamento.
Ora, nel momento in cui ci poniamo l’obiettivo di esaltare la nostra vita spirituale tramite l’illuminazione che la Musica ci fornisce, individuo una evidente incongruenza in ciò che tale prassi di studio arreca a colei o colui che con tale dedizione si avvicinano al mondo del pianoforte concertistico, tant’è che, a fronte di pochi eletti concertisti di chiara fama, tra i quali inevitabilmente si aggirano comunque dei veri e propri disadattati sociali, per contraltare vi è una sconfinata pletora di infelici fruitori parziali di ciò che chiamiamo gioia di fare Musica.
Detto questo, quale può essere una soluzione verosimile a tale problematica?
Vladimir Ashkenazy, grandioso ed inarrivabile concertista russo naturalizzato islandese, pianista e direttore d’orchestra di livello più che assoluto dalla sconfinata discografia e dal repertorio immenso, amico di Keith Jarrett, parlando con quest’ultimo, manifestò la sua inquietudine per non essere in grado di improvvisare neanche una singola nota al pianoforte.
Friedrich Gulda, grandioso interprete beethoveniano, ascoltando il suo amico Chick Corea improvvisare al pianoforte si è sentito, parole sue, un perfetto idiota e si è messo subito all’opera per ovviare all’inconveniente.
Che cosa ha fatto Friedrich Gulda per ovviare all’inconveniente?
Semplice: ha studiato tecnica dell’improvvisazione e si è regalato la libertà.
Che cos’è la libertà in Musica?
Che cos’è la libertà sul pianoforte?
La libertà, in termini generali, può, senza tema di smentita, coincidere con il libero arbitrio, con la libera scelta, con il cambiare idea, con il confronto, con l’intuizione, con qualche cosa che possiamo accostare al concetto di luce.
Il già citato Keith Jarrett in un suo aforisma sotiene che ‘Il Jazz è lasciare che la luce brilli, lasciarla essere.’.
Lasciarla essere, per l’appunto, lasciarla libera, in definitiva.
E come si può lasciare libera la luce, suonando il pianoforte?
Cosa poniamo in essere quando abbiamo un’intuizione?
Nulla.
Non poniamo in essere nulla.
Poiché se ponessimo in essere qualche cosa la nostra intuizione ne verrebbe offuscata.
Che cosa significa intuire?
Poiché l’intuizione risiede nella nostra sfera subconscia, ogni azione razionale tende inevitabilmente ad intasare tale settore della nostra mente.
Un prezioso aforisma consiglia di sentirsi come a casa propria sul palco della Carnegie Hall e di sentirsi alla Carnegie Hall quando a casa studiamo sul nostro strumento.
Ciò fa leva sul dualismo tra mente razionale e mente intuitiva.
Cosa pone inevitabilmente in relazione mente razionale e mente intuitiva?
Lo studio.
Lo studio è di fondamentale importanza.
‘Devi studiare se vuoi farti una posizione, devi prenderti una laurea, devi sgobbare!’ esortano i saggi, i genitori, gli avveduti. E hanno indubbiamente ragione, con buona pace di chi sostiene che l’attuale crisi economica non premia più chi studia ma bensì chi conosce a fondo le dinamiche del denaro.
Benissimo, è importante prepararsi e questo è un percorso realmente senza fine, non a caso è noto che ‘non si finisce mai d’imparare’.
Che cosa significa imparare la tecnica dell’improvvisazione?
Significa studiare, anche duramente, un sistema di approccio alla Musica.
Significa studiare, anche duramente, IL sistema di approccio alla Musica.
Anticamente un musico era colei o colui che sapevano improvvisare al momento una villanella con il liuto, e questo semplicemente era il loro corredo professionale.
Da qualche tempo, ormai, essere musicisti in certi ambiti coincide con la maestria di gestire la prassi esecutiva, ovvero sapere sviscerare una esecuzione perfettamente congrua da una partitura. Si è, dunque, perso quel corredo di nozioni e competenze che permetteva al musicista di vivere la Musica a tutto tondo, relegando il medesimo al ruolo di mero impiegato della musica, carico di scartoffie pentagrammate, senza le quali è un pesce fuor d’acqua.
La vera gioia di fare Musica, dunque, risiede nella capacità di improvvisare sullo strumento.
Ed è partendo da questo dato di fatto oggettivo che si dipana tutto il percorso che un musicista libero deve intraprendere nel momento in cui decide di essere tale.
L’assioma centrale di tale argomentazione è il seguente:
‘l’unità di misura dell’improvvisazione è la singola nota.’
Da ciò ne consegue che tutto il percorso di approfondimento relativo all’improvvisazione altro non è se non l’arte di assemblare le singole note e le imprescindibili pause, le quali sono il respiro della Musica.