Elementi Tematici

Immagine

Donare coerenza ad un’improvvisazione trova la sua principale ragion d’essere nello sfruttamento degli elementi tematici di una composizione nella misura in cui detti elementi restituiscono unità strutturale al tutto.

Un approccio evoluto in tal senso coincide nell’analisi e nella scomposizione delle frasi arrivando all’isolamento dei singoli intervalli formanti le medesime, i quali diverranno nella mani dell’improvvisatore gli elementi costitutivi informanti gli episodi creativi della composizione stessa.

La musica jazz, quintessenziale elemento relativamente alla prassi esecutiva dell’improvvisazione nella tradizione occidentale ed ormai diffusa ovunque, è formata dalla parte tematica scritta, che informa il lavoro creativo, e dalla parte d’invenzione estemporanea, trasmessa per tradizione orale, che ad essa naturalmente si riferisce.

Il singolo intervallo, la distanza tra due note, può essere utilizzato come elemento fluttuante e cangiante all’interno della parte improvvisata, adattantesi alle armonie del brano e alle relative sostituzioni, oltre che modificabile dal punto di vista ritmico.

Una parte più cospicua dell’elemento tematico, una semifrase o parte di essa, può subire una parafrasi, mantenendo alcuni elementi formanti, evitando la pedissequa riesposizione.

L’aumentazione e la diminuzione dell’elemento tematico è una ulteriore strada percorribile.

Tale approccio trova l’antecedente storico nel tema con variazioni.

Sorprese dell’inatteso

Immagine

L’improvvisazione coincide con la sorpresa, con il risultato inaspettato che ogni improvvisatore degno di questo nome ricerchi senza sosta, nell’obiettivo, appunto, di trovarsi sorpreso del suo stesso operato. 

Non è casuale la scelta di un banco di lavoro rappresentato da una preesistente struttura formale che possa adeguatamente accogliere le invenzioni estemporanee degli improvvisatori.

Tale struttura diventa il contenitore, lo spazio vitale, l’ambito in cui potersi muovere, l’arena in cui disputare i giochi di squadra e le competizioni ed i confronti in solitaria con gli avversari.

Il gioco di squadra si espleta tramite il dialogo che intercorre naturalmente tra i componenti del gruppo, le competizioni in solitaria si palesano nei concerti in solo e l’avversario comune è il superamento di sé stessi, dei propri limiti e delle proprie incertezze.

Il jazz è attitudine per sistemi nervosi saldi.

L’equilibrio necessario per affrontare la sfida risiede in quella centratura che solo la mente intuitiva ci può restituire.

Perciò l’abbandono alla non ricerca, la fiducia manifestata alla propria intuizione, la tranquillità donata dal lavoro pregresso, svolto con tenacia negli anni, dalla sfera razionale, sono la panacea.

Ciò che ci nutre ed appaga è l’emozione, la trasmissione e la ricezione della medesima, la corrente sotterranea che ci tiene al mondo, il flusso temporale che dipana le nostre esistenze.

Siamo animali sociali ed il dialogo è alla base della nostra essenza, ed un inaspettato dialogo viene a crearsi tra i componenti di un gruppo nel momento in cui ciò che si dibatte veleggia sull’onda di quello specchio d’acqua rappresentato dai limiti strutturali della canzone.

Ed ogni volta che si solca quel mare, la visuale cambia, la luce di un altro giorno è sempre differente, lo stato d’animo dei naviganti è costantemente mutevole e da queste premesse si origina l’emozione risultante e l’inatteso frutto che tale maturazione intuitiva ci reca.

Accade che, a volte, quel mare ci risulti troppo familiare, quando la rotta tende a ripetersi, e allora si anela ad altri percorsi, altre rotte, altri mari.

E, nell’ottica delle sorprese dell’inatteso, questo mare può avvilupparsi su sé stesso, può svilupparsi in un gorgo, trasformarsi in un fiume, un torrente che scorre e si infrange in rapide e cascate, sino alla dissoluzione formale totale.

E questa dissoluzione può concretizzarsi nell’annullamento della struttura tradizionale.

Interessante, in quest’ottica, l’iconoclastica distruzione della forma canzone in vista di un differente approccio strutturale.

Volendo donare una dimensione congrua a tale approccio, l’ideale è sfruttare gli elementi tematici e ritmici, nell’obiettivo di ricreare una diversa situazione strutturale, non delineata in un definito numero di battute, che lascia il più ampio coefficiente di libertà alla composizione estemporanea.

A differenza del free jazz, totalmente libero, ancorché ancorato all’idioma stilistico, in questo caso la presenza di un tema iniziale e della sua riesposizione finale restituisce una differente concezione strutturale e gli elementi formanti detto tema – melodici, armonici e ritmici – utilizzabili durante l’excursus creativo nella porzione centrale del brano rinforzano la percezione strutturale.

Dal punto di vista della trasmissione emozionale, si rende necessaria una particolare sensibilità da parte dei musicisti che affrontano un simile approccio sperimentale in modo tale che non si corra il rischio che un’estrema ricerca crei una indesiderata barriera tra i musicisti ed i fruitori.

La vigile attenzione che va posta in essere deve nel contempo lasciare lo spazio necessario affinché l’intuizione di ognuno e la sinergia del collettivo accolgano per conseguenza le sorprese dell’inatteso.

Corsi e ricorsi di Pianoforte

Studiare pianoforte, individuare il metodo di studio, individuare l’insegnamento corretto.

Studiare tecnica dell’improvvisazione, apprendere l’arte della creatività, intraprendere un percorso stimolante e pragmatico, che tenga viva la curiosità e che desti un interesse costante, dati gli argomenti e dato il modo di proporli e di esporli.

Siamo abituati che ogni volta che ci si accosta allo studio del pianoforte ci si debba necessariamente confrontare con anni di noiose metodologie vetuste finalizzate all’apprendimento della prassi esecutiva accademica. 

Il problema di fondo è che la maggior parte degli insegnanti tradizionali non hanno le competenze necessarie per insegnare l’arte della creatività e la tecnica dell’improvvisazione.

Ciò che trasmettono altro non è se non ciò che hanno essi stessi appreso, ovvero l’apprendimento della prassi esecutiva.

Tutto ciò relega ad una sola competenza: l’ottimizzazione della partitura, ovvero la perpetua sudditanza all’autore del testo musicale.

Ci si illude che in un futuro sarà possibile travalicare questo tipo di competenza, approdando felicemente nelle lande della creatività musicale, ma si tratta di una speranza vana, se ci si limiterà a questa tipologia di percorso di studi.

Da un certo punto in avanti nell’esperienza propedeutica occidentale la trasmissione delle competenze si è cristallizzata nell’assoluto ed esclusivo ossequio alla parte scritta, inibendo di fatto l’apprendimento della libertà esecutiva.

In oriente da sempre la propedeutica musicale endemica, non legata al repertorio europeo, prevede un approccio antifonale tra docente e discente, nell’ottica di stimolare le capacità imitative dell’allievo. L’insegnante propone il frammento musicale e l’allievo s’industria ad imitarlo. La prassi si ripete sino a che lo studente non cesella adeguatamente la frase proposta. Tutto senza l’ausilio – o l’impedimento – della parte scritta.

Nello studio della tecnica dell’improvvisazione di matrice jazzistica afroamericana si opta per un approccio simile, tant’è che le matrici africane, legate a doppio filo alla trasmissione orale, in questo modo fanno capolino anche in occidente, vivificando la nostra propedeutica di nuova linfa vitale.

Da anni ormai gli accademici hanno rizzato le orecchie nella direzione di queste metodologie, non a caso oggi è annoverato lo studio della musica jazz nei conservatori di tutta Europa, per tacere degli Stati Uniti d’America, tradizionalmente e storicamente avvezzi a tale abitudine.

Ci si potrà interrogare sull’effettiva congruità dello studio della musica jazz nel nostro Paese, nei termini dell’effettiva vicinanza storico-stilistica con la musica afroamericana ma ogni dubbio scompare nel momento in cui ci si rende conto che buona parte delle matrici jazzistiche si originano grazie all’intervento di una grande parte di musicisti italiani oriundi, per tacere della tradizione bandistica siciliana che tanta parte ebbe nello sviluppo delle fanfare di New Orleans confluite nelle big bands americane.

Al di là di ciò, la prospettiva odierna del villaggio globale ci esorta al confronto con tutto ciò che ci stimola all’apprendimento e tocca le nostre corde emotive più profonde.

Le informazioni corrono veloci e la presenza dei contenuti in rete è una realtà sociale di portata storica che non può essere ignorata e che, di conseguenza, restituisce coerenza ad ogni nostra scelta, tant’è che il futuro che ci attende tende all’unificazione planetaria.

Suonare uno strumento oggi, suonare il pianoforte oggi coincide con la totale apertura mentale ed una visione ad angolo giro, se ci si vuole immergere in un’esperienza esistenziale felice ed appagante.

 

 

Cosa significa godersi pienamente la Musica al Pianoforte?

La Musica è un enorme contenitore di meraviglie.

Che cosa può significare concretamente godersi pienamente la Musica al pianoforte?

Relativamente pochi giganti della Musica hanno realizzato le loro inarrivabili composizioni che possiamo agevolmente individuare nelle partiture reperibili in commercio, e questa è una strada possibile, ma quanti di noi possono dire onestamente a sé stessi di essere riusciti a realizzare un’esecuzione congrua dei capolavori in oggetto?

Questo privilegio è riservato a pochi eletti, comunque sacrificati in un’esistenza monastica dedicata esclusivamente, salvo rarissimi e fortunati casi, allo studio rigoroso dello strumento.

Tale dedizione spesso coincide, per la sua stessa natura di esclusività, con una deprecabile condizione esistenziale, foriera di sociopatia manifesta e palese disadattamento.

Ora, nel momento in cui ci poniamo l’obiettivo di esaltare la nostra vita spirituale tramite l’illuminazione che la Musica ci fornisce, individuo una evidente incongruenza in ciò che tale prassi di studio arreca a colei o colui che con tale dedizione si avvicinano al mondo del pianoforte concertistico, tant’è che, a fronte di pochi eletti concertisti di chiara fama, tra i quali inevitabilmente si aggirano comunque dei veri e propri disadattati sociali, per contraltare vi è una sconfinata pletora di infelici fruitori parziali di ciò che chiamiamo gioia di fare Musica.

Detto questo, quale può essere una soluzione verosimile a tale problematica?

Vladimir Ashkenazy, grandioso ed inarrivabile concertista russo naturalizzato islandese, pianista e direttore d’orchestra di livello più che assoluto dalla sconfinata discografia e dal repertorio immenso, amico di Keith Jarrett, parlando con quest’ultimo, manifestò la sua inquietudine per non essere in grado di improvvisare neanche una singola nota al pianoforte.

Friedrich Gulda, grandioso interprete beethoveniano, ascoltando il suo amico Chick Corea improvvisare al pianoforte si è sentito, parole sue, un perfetto idiota e si è messo subito all’opera per ovviare all’inconveniente.

Che cosa ha fatto Friedrich Gulda per ovviare all’inconveniente?

Semplice: ha studiato tecnica dell’improvvisazione e si è regalato la libertà.

Che cos’è la libertà in Musica?

Che cos’è la libertà sul pianoforte?

La libertà, in termini generali, può, senza tema di smentita, coincidere con il libero arbitrio, con la libera scelta, con il cambiare idea, con il confronto, con l’intuizione, con qualche cosa che possiamo accostare al concetto di luce.

Il già citato Keith Jarrett in un suo aforisma sotiene che ‘Il Jazz è lasciare che la luce brilli, lasciarla essere.’.

Lasciarla essere, per l’appunto, lasciarla libera, in definitiva.

E come si può lasciare libera la luce, suonando il pianoforte?

Cosa poniamo in essere quando abbiamo un’intuizione?

Nulla.

Non poniamo in essere nulla.

Poiché se ponessimo in essere qualche cosa la nostra intuizione ne verrebbe offuscata.

Che cosa significa intuire?

Poiché l’intuizione risiede nella nostra sfera subconscia, ogni azione razionale tende inevitabilmente ad intasare tale settore della nostra mente.

Un prezioso aforisma consiglia di sentirsi come a casa propria sul palco della Carnegie Hall e di sentirsi alla Carnegie Hall quando a casa studiamo sul nostro strumento.

Ciò fa leva sul dualismo tra mente razionale e mente intuitiva.

Cosa pone inevitabilmente in relazione mente razionale e mente intuitiva?

Lo studio.

Lo studio è di fondamentale importanza.

‘Devi studiare se vuoi farti una posizione, devi prenderti una laurea, devi sgobbare!’ esortano i saggi, i genitori, gli avveduti. E hanno indubbiamente ragione, con buona pace di chi sostiene che l’attuale crisi economica non premia più chi studia ma bensì chi conosce a fondo le dinamiche del denaro.

Benissimo, è importante prepararsi e questo è un percorso realmente senza fine, non a caso è noto che ‘non si finisce mai d’imparare’.

Che cosa significa imparare la tecnica dell’improvvisazione?

Significa studiare, anche duramente, un sistema di approccio alla Musica.

Significa studiare, anche duramente, IL sistema di approccio alla Musica.

Anticamente un musico era colei o colui che sapevano improvvisare al momento una villanella con il liuto, e questo semplicemente era il loro corredo professionale. 

Da qualche tempo, ormai, essere musicisti in certi ambiti coincide con la maestria di gestire la prassi esecutiva, ovvero sapere sviscerare una esecuzione perfettamente congrua da una partitura. Si è, dunque, perso quel corredo di nozioni e competenze che permetteva al musicista di vivere la Musica a tutto tondo, relegando il medesimo al ruolo di mero impiegato della musica, carico di scartoffie pentagrammate, senza le quali è un pesce fuor d’acqua.

La vera gioia di fare Musica, dunque, risiede nella capacità di improvvisare sullo strumento.

Ed è partendo da questo dato di fatto oggettivo che si dipana tutto il percorso che un musicista libero deve intraprendere nel momento in cui decide di essere tale.

L’assioma centrale di tale argomentazione è il seguente:

‘l’unità di misura dell’improvvisazione è la singola nota.’

Da ciò ne consegue che tutto il percorso di approfondimento relativo all’improvvisazione altro non è se non l’arte di assemblare le singole note e le imprescindibili pause, le quali sono il respiro della Musica.

 

Che cosa è il Jazz?

Che cosa è il Jazz?

Che cosa è la Musica?

E’ forse ciò che qualcuno ha vergato su di uno spartito?

Qualcosa deciso da altri ai quali ci dobbiamo adattare, nel rispetto di una prassi esecutiva e di una ben consolidata tradizione?

Qual’è il discrimine tra la Musica improvvisata e la Musica scritta?

Laddove lo spartito possa venire considerato come una sorta di registratore ante litteram ove fissare, immortalare, definire ad imperitura memoria un pensiero musicale, possiamo cominciare a considerare comunque anch’esso come una sorta di cristallizzazione di un’improvvisazione pregressa, con buona pace di tutte le competenze compositive che ne hanno informato il contenuto.

Parallelamente, possiamo prendere seriamente in considerazione il concetto assodato che l’improvvisazione altro non è se non composizione estemporanea, sempre con buona pace di tutte le competenze che ne hanno informato il contenuto.

Da ciò si evince l’assoluta identità di fondo tra composizione pregressa e composizione estemporanea, con buona pace di chi ancora tende a sottolineare le differenze tra i due approcci.

Possiamo disquisire per millenni sulle differenze stilistiche, possiamo argomentare sui differenti dialetti regionali, possiamo richiamare l’attenzione sul contesto socio-culturale, sta di fatto che la Musica è una.